Stanislav Guentner |
In questi giorni, dopo la vittoria al mondiale di calcio, si parla molto di Germania. Una Germania nuova, moderna e multiculturale, che si è arricchita, non solo calcisticamente, grazie all'apporto del talento e del lavoro straniero. Ne ho parlato con il mio amico Stanislav Guentner, regista di Nemez, un film che racconta una storia di identità e integrazione nella Berlino di oggi. Un'opera prima che personalmente ho molto apprezzato, e di cui vi propongo il trailer e una breve descrizione.
Un giovane
russo di etnia tedesca, diviso tra un nuovo amore e un passato criminale,
combatte a Berlino per un nuovo inizio. Nemez, così viene chiamato il giovane
russo-tedesco Dima dal suo boss, il ladro d’arte Georgiy. Nemez in russo vuol
dire “tedesco”. Appena uscito dal
carcere minorile, Dima vuole iniziare una nuova vita a Berlino. Ma il suo
passato non vuole lasciarlo in pace: Georgij non ha nessuna intenzione
di rinunciare ai suoi servigi; e suo padre, che non si sente a casa in
Germania, vuole ritornare in Russia con tutta la famiglia. Solo l’amore per la
studentessa d’arte Nadja dà una speranza a Dima, ma le sue vecchie
frequentazioni criminali rischiano di essere fatali per l’amore dei due. Dima
deve rischiare molto per trovare una sua dimensione e una sua identità (da wikipedia.de)
Tu mi ha spesso raccontato che come
russo-tedesco trasferitosi giovanissimo a Dresda hai avuto dei problemi di identità
e di accettazione: ti sentivi tedesco in Russia e russo in Germania e
hai messo molto di questo nel tuo film. Pensi che le cose siano cambiate sul serio in
Germania o che questa sia solo una operazione di marketing dell'immagine?Se un bambino russo oggi
andasse in Germania avrebbe gli stessi problemi che hai avuto 25 anni fa o sarebbe
diverso?
Oggi sarebbe ovviamente diverso. Perché la società è
cambiata e negli ultimi vent’anni c’è stata più immigrazione. Oggi un tedesco su otto è di origine straniera. Io sono arrivato nella Ddr, a Dresda, nel 1989, un
anno prima dell’ unificazione. A scuola io e mio fratello eravamo gli unici “russi”.
A Dresda erano dislocati anche molti soldati sovietici, non certo amatissimi
dalla popolazione. Da qui tutta una serie di problemi. Da bambino in Russia ero uno sporco tedesco, da adolescente a Dresda un russo a cui non dare confidenza. Ma ovviamente la Germania est era un paese senza immigrati.
Io sono arrivato nel 1989: ho vissuto un anno nella DDR. Ma anche dopo la
caduta del muro cambiò poco nella mentalità dei tedeschi orientali, anche a 8 anni di
distanza. Qualche anno più tardi, nel’99, mi recai a studiare cinema a Monaco
di Baviera: fu il mio primo vero contatto con una società aperta e capitalista. Io spero che il paese cambi ancora e in meglio, grazie anche
all’apporto degli stranieri, che hanno dato un contributo culturale e materiale importante.
Vedendo il tuo film
questo tema del confronto tra vecchia e nuova immigrazione appare evidente nel
rapporto tra il protagonista Nemez e Georgiy, il suo boss. Georgiy gli dice:
“Tu sei straniero, emarginato, esattamente come me. Nessuno ci vuole, nessuno
si prende cura di noi. Dobbiamo fare affidamento solo su noi stessi.” Ma in realtà per
il giovane non è così, lui cerca e trova integrazione e amore. A differenza del
più anziano, incattivito e incorreggibile Georgiy.
E’ esattamente così: il padre di Nadja, la fiamma del
protagonista, non ama Nemez non in quanto russo, ma in quanto ladro.
Inoltre Nemez non ha un accento straniero quando parla tedesco, a differenza di
Georgiy. Nemez parla tedesco come un tedesco. Io stesso ad esempio pur essendo
relativamente giovane, ho 37 anni, appartengo alla vecchia generazione. Sono
arrivato in Germania a 12 anni, da Tscheljabinsk, Siberia, la mia madrelingua è il russo, e
quando parlo tedesco, cioè tutti i santi giorni, ho un accento che pende molto
sul russo. La mia sorella minore invece ha un accento totalmente tedesco e
anche i miei figli lo avranno. Questo cambiamento di cui parlo è evidente anche nel team
tedesco che si è appena laureato campione del mondo: se guardi le fotografie
della nazionale negli anni 90 e leggi i nomi e vedi le facce era molto diverso. Era un monocolore
di vecchie glorie tedesche. Ora è una squadra giovane e contaminata. Il 30%
della nazionale è composto da stranieri, che in realtà son considerati e si
considerano tedeschi a tutti gli effetti. La Germania ha mostrato al mondo, non
solo nel calcio, una sua nuova immagine, diversa da quella arcigna, fuori moda e angustiata ancora in qualche modo dal suo passato. Io credo o voglio credere che
questa nuova faccia sia davvero tale.
La Mannschaft del 2014. |
Quindi credi o vuoi
credere che la Germania sia veramente cambiata e con lei i suoi abitanti? O pensi
sia solo una riuscita operazione di marketing dell’immagine? Vivi a Berlino, ci
siamo conosciuti là, è un posto speciale e aperto, ma non è certo la cartina
tornasole del paese…
Oggi tutto è media e marketing. Per me 23 anni dopo la Wende il paese è finalmente unito e si è lasciato
alle spalle la divisione tra est e ovest. Io stesso, essendo “vecchio” ho una
mentalità orientale. Questi giocatori rappresentano una generazione che ha
superato tutto questo perché è cresciuta nella Germania degl’ultimi 10 anni. Un
paese che è cambiato in meglio. Perché si è riappropriato della sua identità
liberandosi dei fantasmi del passato. Dopo la seconda guerra mondiale la
bandiera tedesca era praticamente proibita, l’orgoglio di sentirsi tedesco era
proibito. Unici elementi identitari erano il marco tedesco e la industria con la Mercedes piuttosto che con la Bmw. Ciò non
andava affatto bene. Oggi nessuno si fa più questi problemi per fortuna. Siamo
un paese maturo, ma non inconsapevole. E questa squadra ci rappresenta bene
essenda composta da ragazzi appartenenti alla prima generazione cresciuta senza
la cortina di ferro. A parte questo comunque non so cosa ci riserverà il futuro
come europei e tedeschi. Non mi piace ad esempio assistere a questi prodromi di
nuova guerra fredda. Per la stampa tedesca la Russia, che è un po’
anche il mio paese, è di nuovo il nemico, e gli americani sono spie.
Il tema dell’integrazione
e dell’identità è importante per te come regista, hai nuovi progetti in
cantiere?
A me interessa la condizione di straniero
in una società, il ruolo di ponte culturale. E’ un interesse che viene dalla
mia vicenda personale. Nemez, un po’ come me, non è né carne né pesce, tedesco
in Russia e russo in Germania. Mi interessa il modo in cui queste persone si
creano una vita e fanno strada in un contesto diverso da quello di origine. Adesso sto lavorando a un film sui primi tedeschi che sono arrivati in Russia con Caterina la Grande, tra loro c’erano i miei antenati. Io sono molto arrabbiato e
spaventato per quello che sta succedendo tra Europa e Russia: in Ucraina sta
morendo della gente e la colpa è dell’Unione Europea, della Russia e degli Stati
Uniti. Io nel mio piccolo, come artista,
voglio lanciare un messaggio e edificare un ponte culturale. Dimostrare che la
Russia e l’Europa occidentale sono parte di uno stesso continente che si chiama
Europa. La nostra storia è profondamente interconnessa! Quello che non mi piace
della tragedia ucraina è che è troppo semplice dire che il grande nemico e l’unico colpevole è la Russia. Purtroppo
molti in Germania la pensano così, e sono influenzati dai media. Quindi il mio
prossimo film sarà una connection story fra Germania e Russia.
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