"Ormai era chiaro, dovevo partire anch'io: fare un viaggio nella Storia ma anche alle radici di me stesso. Ero figlio di una città rimasta austriaca cinque secoli. Mio padre era stato ufficiale nell'esercito del tricolore e avevo per parte di madre un illustre e italianissimo zio irredentista. Ma mio nonno aveva combattuto con l'Austria per il suo imperatore e mia nonna, senza muoversi da Trieste, era passata sotto sei diverse bandiere: Austria, Regno d'Italia, Germania, Jugoslavia, governo anglo-americano, Repubblica italiana. Ero, come dire, complicato. Ma proprio quel pedigree mi avrebbe impedito di fare un viaggio di parte tra i belligeranti di quella no mans land interminabile. (...) Prima di partire staccai dall'attaccapanni un berretto di foggia militare austriaca, buono per la pioggia, identico a quello di mio nonno. (...) Per quel copricapo in Francia mi avrebbero preso per tedesco, in Germania per un italiano molto originale, in Ucraina per un nazionalista anti russo, in Serbia per un nazista, in Italia per un austriacante. A tutti, avrei dovuto spiegare che era solo il cappello di mio nonno." (Paolo Rumiz, giornalista e scrittore)
"Mi sono riletto il manifesto di Ventotene, quel documento che fu scritto al confino da Altiero Spinelli, Ernesto Rossi, perseguitati dal fascismo. Federalismo europeo e giustizia sociale erano due pilastri per una Europa che sapesse superare la propria vocazione suicida o fratricida. L'Europa all'inizio ha intuito che quella era la strada, fin dagli anni cinquanta e poi l'ha smarrita o l'ha tradita quella vocazione. L'Unione europea non è in realtà una federazione: è un assemblaggio di governi , con un fragilissimo parlamento e un esecutivo non controllato da istanze democratiche e non pratica la giustizia sociale, che dovrebbe essere nel suo dna; pratica all'opposto il feticismo del denaro. E tuttavia, l'unità europea è un destino inevitabile se non vogliamo ripiombare nella vocazione suicidaria che ha caratterizzato la prima metà del '900. E' inevitabile pensarsi come entità continentale." (Marco Revelli, storico e sociologo)
"L’Italia, prossima alla presidenza di turno dell’Ue, grazie
all’affermazione del governo Renzi in queste elezioni ha davanti a sé
l’occasione unica di rovesciare la politica rigorista imposta dalla
Germania nell’ultimo decennio. Grazie a questo risultato oggi l’Italia ha più forza per coagulare
intorno a sé anche gli altri e ha più voce per essere ascoltata. Ritengo che nonostante lo scontato
progresso dei partiti populisti, in molti paesi si possa
costruire una politica di solidarietà europea piu' forte
rispetto al passato. I governi sono stati danneggiati dalla cattiva gestione della crisi,
non è colpa dell'Europa, ma dell'assenza di Europa. Tutto è stato deciso
in base agli interessi dei singoli Paesi, il che significa che tutto è
stato deciso dalla Germania. I paesi più periferici sono stati danneggiati da una politica
volutamente recessiva che ha favorito i tedeschi con un gigantesco
surplus commerciale." (Romano Prodi)
L'altro ieri sono andato a votare, ieri mi sono svegliato e ho saputo della straordinaria e senza precedenti affermazione europea del Pd di Matteo Renzi, che si delinea così come il primo partito riformista in Europa. In questo periodo tra l'altro, cade il centenario dell'inizio del suicidio dell'Europa, la prima guerra mondiale, una tragedia immane da cui sono scaturite tutte le altre sciagure che hanno segnato profondamente il '900: i nazionalismi, il nazi fascismo, il comunismo, la negazione delle lingue altrui, l'estetica della morte, i gulag e i campi di concentramento; la follia contro la ragione. Stamattina ho comprato in edicola la prima puntata del documentario di Paolo Rumiz sulla grande guerra, intitolata "Maledetti Balcani" (domani esce la seconda, dedicata alla Galizia, scenario delle grandi battaglie sul fronte orientale tra austro-tedeschi e Russi). Il documentario è molto bello e mi ha commosso. E' costruito molto bene: è
impressionante notare la divergenza di opinioni sulle cause originarie e
sui "peccati originali" alla base della conflitto tra diversi
studiosi italiani, francesi, inglesi, balcanici e mitteleuropei.Tra l'altro alcune di queste diverse opinioni mi sono sembrate influenzate da visioni nazional-centriche e in alcuni casi vetero-nazionaliste, chiusure mentali risalenti a quell'epoca e purtroppo ancora ben presenti nel tessuto ideologico del continente.
Il parallelo tra oggi e cento anni fa mi è venuto automatico: la malinconia del triestino Rumiz di fronte alla impossibilità di recarsi in treno direttamente dalla sua città (un tempo porto e scalo ferroviario tra i più importanti d'Europa) nei Balcani, e di essere costretto a fare scalo nella minuscola stazione di uno sconosciuto paesino sloveno poco oltre il confine, e la risultante di quella tragedia, cento anni dopo. Le guerre le fanno i governi e le industrie, il conto lo pagano sempre i deboli, i popoli, le persone: a loro vengono venduti obiettivi illusori e imposte follie ideologiche; bugie vendute come ineludibili bisogni. Oggi come allora, la partita contro tutto questo è apertissima e l'attenzione deve essere tenuta sempre ai massimi livelli. L'Europa vera, quella dei padri fondatori, quella del manifesto di Ventotene, è ancora, almeno in parte, possibile. Dico almeno in parte perché bisogna sempre tenere a mente che la strada è lastricata di buone intenzioni, ma la governance e la politica sono fatte di inevitabili mediazioni, spirito di realtà e buon senso. Bisogna recuperare il senso di quella tragedia e renderlo attuale per non ricadere in antichi errori. Sarebbe uno schiaffo in faccia a chi, con diversa intensità (bisogna a mio avviso fare una distinzione tra euroscettici aperti a un dibattito costruttivo e populisti tout court) , fa del disagio e delle difficoltà che tutti attraversiamo una leva per propagandare idee anti-europee. La strada è lunga e irta di ostacoli e lo sappiamo. C'è ancora molto da fare. Perché sono un convinto europeista? Dal punto di vista pratico è una necessità di sopravvivenza affinché il nostro continente sia in grado di affrontare le sfide globali, assumendosi le sue responsabilità. Questa unione però, come dicono Revelli e Prodi, anche se su registri emotivi e analitici diversi, si deve concretizzare su basi e con risultati diversi da quelli degli ultimi 10 anni. Dal punto di vista emotivo europeista lo sono sempre stato, esattamente come Rumiz. La metafora del cappello è emblematica: dovunque Rumiz vada, quel cappello è un messaggio male interpretato. La gente che gli chiede conto di quel cappello usa categorie analitiche da me superate. Amo il mio paese, e il mio paese è l'Europa. Come Rumiz sono nato nel Nord Est, in una città che è stata austriaca, situata appena sotto la val d'Adige, via di comunicazione tra mondo mediterraneo e continentale. Ho girato l'Europa, mi sono nutrito di essa. Sono italiano, francese, tedesco, inglese, spagnolo. Tutti questi paesi e tutte queste culture hanno fuso la loro ricchezza in me aiutandomi a sentirmi quello che sono: un giovane uomo europeo.
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“Bisogna recuperare il senso di quella tragedia e renderlo attuale per non ricadere in antichi errori.”
RispondiEliminaI totally agree( scusi- non scrivo bene in Italiano) The horror of that war always fascinated me but, above all, it’s seeming madness, its incomprehensibility. But the key to understanding it lies in developments themselves concealed. The defeat of the confederacy, which was supported by the British in the American Civil War, provoked a huge crisis within British imperial circles. They had definitively “lost” America. This was resolved, not through Imperial reform,complete Catholic emancipation and Irish Home Rule but through a new alliance of Anglo-Saxon peoples and a corresponding shift of the imperial centre to the USA. The Great War was lost by all the European powers and won by Wall Street. 100 years on and the central question remains that of the relationship with the USA: it is not even so much a question of a social Europe but , in the first instance, an independent, sovereign Europe outside the vassalage of the now fast declining empire. In this respect, the recent statements of Renzi regarding relations with Russia show that Italy is not joining any New Cold War. In this, Italy is true to form, as she has throughout the post-war period tended to challenge US hegemony and fought memorably to maintain a national cultural perspective.