VIAGGIO NEL PELOPONNESO PARTE SECONDA

Seconda tappa: da Agios Nikolaos a Porto Kagio.

Scriva ai suoi amici a Londra che si trova nel Mani, un posto molto caldo, dove non ci son altro che pietre. (Mani, viaggio nel Peloponneso di Patrick Leigh Fermor)

 La mattina dopo di buon ora, preso commiato da Carmela, riprendiamo il viaggio con grande entusiasmo: facciamo meno di un chilometro dal Katafigio village e restiamo ipnotizzati da una donna molto anziana vestita a lutto, in nero dalla testa ai piedi, che, appoggiata a un muro, contempla il giardino di una casa. Alla sua sinistra, un deambulatore a rotelle. Lei è immobile sotto il sole, pare un rettile. Che sia una delle prefiche descritte nel libro di sir Patrick Leigh Fermor? E' una scena antica che grida sud. Potremmo essere in Lucania, in Calabria, o in Sicilia dove esistono figure molto simili, retaggio della presenza greca. Fermo la macchina cercando di fare il minor rumore possibile, abbasso il finestrino e rubo questa foto. Lei non ci degna di uno sguardo. Questa della prefica è una figura antichissima passata indenne dal paganesimo alla modernità.

Prefica, Agios Dimitrios.

  Fermatici a  far colazione a Agios Dimitrios ripiombiamo nella modernità: entriamo in un caffè chiamato Nereides, le sedie e i tavoli sono appesi al soffitto all'incontrario come al Madame Claude di Kreuzberg. Il posto è gestito da una ragazza viennese e dal compagno ateniese, i due vivono lì, scelta estrema, tutto l'anno. Lei ci prepara un fantastico yogurt greco con un muesli che nemmeno a Badgastein. I clienti però sono agli antipodi, sia rispetto al salisburghese che rispetto a Berlino: non c'è infatti una sola donna. Sono quegli uomini "duri" e un po' sfaccendati da bar di paese, che trovi ovunque in Europa Meridionale: guardano con curiosità mista a sospetto lo straniero, ma lo fanno di sottecchi; i loro occhi si spostano lateralmente a guardarti  mentre passi, ma il collo non si muove di un centimetro, le teste immobili dentro le loro coppole... quando poi li saluti al momento di andartene,  ricambiano con leggero disorientamento, sorpresi da tanto ardire.

Nereides

Finalmente ci rituffiamo sulla strada che ci porterà sempre più a sud, nel Mani interno, quello più arido, selvaggio e turrito. Il navigatore ci dice che dobbiamo coprire 73 km in un'ora e trenta, ma sappiamo già che non sarà così: il viaggio è scoperta e esplorazione. Ti fermi quando e dove vuoi. E' questo il motivo per cui adoro la macchina e non impazzisco per il treno, mezzo che non ti permette divagazioni. Fosse per me, passerei la vita al volante, sempre in un posto nuovo.
 Attraversando la piazza di un paesino chiamato Lagkada notiamo una chiesetta in classico stile bizantino e decidiamo di dare un'occhiata.

Agios Sotiras Church, Lagkada.

 Entriamo e ci ritroviamo circondati da affreschi bizantini del XIV secolo. Siamo in un’altra dimensione: santi e imperatori ci fissano con occhi enigmatici. Non puoi fare a meno di ammirare questa romanità d’Oriente, lontana nel tempo, politicamente scomparsa da cinque secoli e mezzo, eppure così viva e presente in questi luoghi, dove moltissima gente ne ha assoluta consapevolezza, ancora oggi.




 Da Aeropolis, la città di Ares, dio della guerra, inizia il Mani interno, si lascia la Messenia e si entra in Laconia. Il paesaggio è sempre più brullo, gli alberi sempre meno, resistono solo gli ulivi, la terra è bruciata dal sole, il mare è una gemma blu incastonata tra le rocce. Ci rallegriamo quasi che sia il 9 ottobre, fanno 33 gradi, non osiamo immaginare cosa possa essere stare sotto questo sole a luglio.

Dopo Aeropolis ricordatevi di fare il pieno...

Nei dintorni di Vathia, a settentrione, la favolosa falesia di Gerolimenas.


 Superiamo Limeni, posto molto grazioso e scendiamo per pranzo a Gerolimenas, che vuol dire porto sacro, 100 abitanti ai piedi di una falesia fantastica, uno dei posti preferiti da sir Patrick. Facciamo lo struscio sulla main street alla ricerca di un posto dove mangiare ma non c'è nulla che ci ispiri, tornando verso la macchina, alla punta nord del paese, sotto la scogliera, notiamo dei tavolini sulla spiaggia di ciottoli. Una bandiera con aquila bicipite bizantina che  garrisce al vento fuga i nostri dubbi. Il posto non ha nome, noi lo chiameremo Matoula, dal nome della padrona. Se vi capita di passare non perdetevelo per nessuna ragione. La cucina  va ben oltre la trita e ritrita  triade moussakà-involtini di riso-giros pita. Per dire, mi portano una specie di incrocio tra gnocco fritto emiliano e pizzella napoletana, con sopra pomodoro e sale; buonissimo nella sua assoluta semplicità, seguito da una delle migliori salsicce della mia vita, con carne di maiale e manzo, per nulla grassa, che qui chiamano loukanika, come le luganeghe, le nostre salsicce fini. Stiamo così bene che torneremo a cena il giorno dopo.





Matoula (a destra) con la sua collaboratrice bulgara.

 Non abbiamo ancora deciso dove dormiremo stasera, scartato Limeni, ci rimane da vedere Porto Kagio, un 40 minuti a sud di Gerolimenas. Siamo alla fine della penisola, in prossimità del capo Matapan, l'antica porte dell'Ade, dove Orfeo discese  per riprendersi la sua Euridice.
 L'arrivo a Porto Kagio (un nome che testimonia la dominazione franca e veneziana della zona) ti toglie il fiato. Una strada ripidissima scende verso una spiaggia circondata da una ventina di case al massimo, sulla destra un sentiero porta a un piccolo promontorio su cui si intravede una chiesetta. Il posto ci piace subito, sarà la nostra base nel Mani.

Porto Kagio

 Arrivi in macchina direttamente sulla spiaggia, cosa alquanto inconsueta per noi, e vieni subito notato: la signora del ristorante albergo "Porto" brandisce un enorme cartello con sopra scritto hotel e con larghi ed eloquenti gesti ci invita ad andare da lei, soprassediamo. Un anziano signore ci offre una stanza a casa sua, verso il promontorio, il suo inglese è incomprensibile,  ma parla bene il tedesco e mi racconta in tre minuti tre di una vita passata a Wolfsburg lavorando alla Volkswagen. Lo ringraziamo, e alla fine decidiamo di provare nell'unico posto dove nessuno ha insistentemente cercato di accalappiarci: la taverna Akrotiri, dove le donne la fanno da padrone. Due biondone che manco Raffaella Carrà, Ada e Katerina, son l'anima di questo posto. Chiediamo di vedere una stanza, faccio notare ad Ada che loro due son le uniche a non esserci saltate addosso e lei mi conquista con un: Pleeease! This is Akrotiri!!!   Ci accordiamo per 45 euro al giorno. Abbiamo una bellissima stanza con mobilio in ulivo, un bagno con una doccia stupenda e un terrazzo a tre metri dal bagnasciuga. Mi sento la persona più felice e fortunata al mondo. Dopo un'ora siamo già tra amici. Sistemiamo le borse e dopo un bagnetto nella baia ci incamminiamo per il sentiero, intenzionati a goderci il tramonto sul piccolo promontorio.


I ciclamini la baia, la barca dell'inglese.

Il mare calmissimo, la chiesetta del pope, la sorpresa dei ciclamini sulla roccia, a ottobre, in uno dei posti più a sud d’Europa. Abbiamo scelto il posto giusto, senza dubbio.
 Oltre a essere un incantevole albergo l'Akrotiri è anche un ottimo ristorante...Tra i suoi clienti del periodo annovera Antonios, ateniese, originario del Mani, un atletico cinquantenne venuto coi suoi cani a cacciar quaglie nel porto delle quaglie (questo è il significato di Kagio) e un distinto gentiluomo dell'Oxfordshire di nome Richard. Il buon Richard, ex coltivatore, ritiratosi in seguito a una rovinosa caduta col trattore che lo ha lasciato vivo per miracolo, lasciandogli pesanti acciacchi, ha deciso di vendere tutto, si è comprato una barca a vela e son 10 anni che gira il Mediterraneo.  Passerà l'inverno a Porto a Kagio.
 Festeggiamo insieme il mio compleanno con una cofana di gamberoni al saganaki. Forse il compleanno più gradevole e divertente degli ultimi anni, passato con gente che magari non rivedrai mai, ma di cui ti ricorderai per sempre, complice la straordinarietà del luogo.
 Svegliarsi a Porto Kagio la mattina è meraviglioso, cominci col salire sul moletto in legno e ti butti a mare con gli occhi ancora incrostati di sonno, a digiuno, nuoti fino al centro della baia ammirando un fondale ricco di posidonia, qualche polpo sfuggito all'implacabile Antonios sguscia in tana appena ti vede, torni a riva e ti mangi una coppa di yogurt col loro incredibile miele. Tutto è amplificato dalla gioia di essere in capo al mondo, sentendoti a casa.

Antonios, l'implacabile.
 Decidiamo di fare un giro verso il faro di capo Tenaro-Matapan, teatro di una drammatica sconfitta della Regia Marina nella seconda guerra mondiale. Si arriva nella località di Kokkinogheia, poche case in tutto, si lascia la macchina e ci si incammina per un sentiero che nel giro di 15 minuti arriva al capo, l'antica entrata dell'Ade. E' tutto così essenziale e metafisico: aria-roccia-mare. Non c'è lo splendore dei colori di Lampedusa o della Sardegna, ma per me c'è molto di più, c'è la spiritualità, l'emozione di stare in un posto al contempo esotico e familiare. Si vive il mito. Appena posteggiato noti un cartello che indica il santuario di Poseidone, subito a sinistra del sentiero.


 Ti avvicini a quello che è un ammasso tutt'altro che monumentale di pietre di varie epoche con un arco all'entrata, che introduce a una piccola camera in rovina dove trovi una nicchia con un anfora antica e alcune offerte votive: c'è di tutto, caramelle, bottiglie di vodka, ciottoli, accendini, pacchetti di sigarette, barrette di cioccolata, ma non una sola immagine riconducibile al Cristianesimo. E pensi che da qualche parte hai letto che il Paganesimo ha resistito nel Mani fino al nono secolo d.c., come ci racconta l'imperatore Costantino VII Porfirogenito nel 950: Sia noto che gli abitanti della Maina non appartengono alla stirpe dei predetti Slavi ma a quella dei più antichi Romei, che fino ai tempi presenti sono definiti Elleni dai locali in considerazione del loro essere stati in tempi antichi idolatri e adoratori di idoli come gli antichi Greci, e che furono battezzati e divennero Cristiani durante il Regno del glorioso Basilio. Il posto in cui vivono è privo di acqua e inaccessibile, ma ha olivi dai quali essi traggono qualche consolazione.
 Ci si allontana affascinati e si torna sul sentiero dove ci si imbatte in un mosaico romano. Intorno muri bassi che una volta erano stanze. Ai tempi di Roma questo luogo era un centro abitato. Non c'è che dire, i nostri antenati non sceglievano mai posti banali per edificare. A mio parere questi incontri casuali con vestigia minori del passato son da preferire, con le dovute eccezioni, alle visite nei grandi siti archeologici, tra la ressa, le guide che urlano e tu che segui un itinerario fisso.
  Finalmente ci si incammina, già saturi di sensazioni e dopo una breve scarpinata si arriva al faro. Siamo alla punta estrema della penisola balcanica, tra noi e la Libia non c'è altro che mare.

La fine del mondo terreno: la porta dell'Ade.

 Tornando a casa facciamo una deviazione verso nord  per vedere Vathia, la città delle case torre, dove i Nikliani, nobili decaduti di antico lignaggio, si tiravano cannonate ad alzo zero da una torre all'altra. Queste reciproche cortesie, autentiche faide tra famiglie, coinvolgevano interi villaggi e duravano anche per generazioni.  Il nome locale di queste faide è "vendetta", dal veneziano. Una vendetta durava fino alla  distruzione totale di uno dei contendenti o  finché i turchi non li costringevano a coalizzarsi contro la minaccia esterna, in questo caso si aveva una tregua, la "treva". Il Mani è l'unica regione in tutta la Grecia che i turchi rinunciarono a sottomettere completamente.  I manioti ne andavano e ne vanno molto fieri, tanto da ritenersi gli unici autentici eredi degli Spartani. Da qui, è partito il movimento di indipendenza greco. Per approfondire questo tema qui trattato per sommi capi, consiglio vivamente di leggere il bel libro di Fermor.

Torre nikliana.

 Dopo un pomeriggio di bagni e una lauta cena a Gerolimenas, dove Matoula, con nostro sbigottimento, ci mostra fiera  una nitticora  uccisa a fucilate dal figlio e in procinto di finire in pasto ai gatti,  torniamo a Porto Kagio. Nasce una piccola discussione.  Nusia insiste giustamente per partire. Fosse per me non mi muoverei più da Porto Kagio. L'addio alle ragazze, ad Antonios e all'inglese è straziante. Ci si lascia con la promessa di rivederci in spiaggia a Pasqua, per mangiare l'agnello.  La mattina dopo, prestissimo, lasceremo il Mani, ma non sappiamo ancora per dove... (to be continued)



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