Lessinia, where we belong to. |
Parliamo
di amicizia.
Ho sempre considerato più importante la vita che “l’arte” o il mestiere; e però forse
mi sbagliavo. Forse mi sbagliavo perché separavo queste due cose, e invece non
c’è niente di separato, c’è la vita, il
flusso della vita e dentro c’è tutto. Ho sempre avuto una percezione di
solitudine, ma penso che sia necessaria per relazionarsi agli altri, non siamo
un corpo unico, siamo individui soli ed è da questa solitudine che parte il
bisogno d’amore e d’amicizia, il bisogno di dare e ricevere, e di scambiare.
Nella vita mi hanno accompagnato alcune amiche e amici e io sono una che tende
a sospendere, ma non a interrompere, nessun legame. Sospendere perché mi sono
spostata dalla mia città di origine dato che sono stata spesso in viaggio, senza
vincoli di quotidianità costanti, come chi ad esempio ha un lavoro fisso, e si ritrova
tutti i giorni negli stessi posti e negli stessi ambienti. Io, ritrovandomi
tutti i giorni non so dove, sono stata costretta a sospendere queste amicizie, a
volte per lunghi periodi, in un apparente oblio, ma poi le ho ritrovate sempre,
e quindi ho degli amici che conosco da trenta, quaranta, cinquant’anni, anche
sessanta, che magari però non vedo per lunghi periodi, anche di anni. Ma poi ci
si ritrova, stamattina ad esempio, mi ha telefonato una mia compagna di liceo
che non sentivo da moltissimo tempo. Questo è molto bello, perché si è
stabilita una complicità tra noi in quegli anni, che ancora resiste. Tengo molto
a queste amicizie: la maggior parte sono nate a Verona, poi a Roma, qualche
volta a Milano, poi a Torino, a Napoli, in Sicilia e a Parigi. Questi rapporti duraturi, o si formano nel tempo degli studi o
dell’adolescenza, periodo in cui sei particolarmente ricettivo, o in ambito
lavorativo, oppure nella stagione in cui si hanno bimbi piccoli, e si
incontrano altre coppie con cui si condivide l’esperienza genitoriale, anche
coi figli degl’altri, che si mescolano ai tuoi.
Che tipo di famiglia hai e hai avuto?
Una famiglia italiana,
con una prevalenza veronese quasi totale, a parte un nonno piemontese. Una
famiglia con componenti sociali diverse, un nonno commendatore, grand’ufficiale
e cavaliere di Malta che era il padre di mio padre, oggetto di lazzi dai parte
dei figli a cui della nobiltà e dei titoli importava ben poco; c’è un bisnonno
macellaio da parte di madre, c’è la presenza della musica perché c’è mio nonno
materno, il piemontese, che suonava e amava la musica, in particolare l’Opera. Tutte
persone profondamente diverse tra loro, c’erano componenti popolane ed altre
non borghesi, ma molto attente al decoro. Un decoro senza fronzoli: la mia
infanzia è stata abbastanza rigorosa, in linea col carattere dell’Italia degli
anni ’50, un paese senza ricchezze, con il necessario ma senza il superfluo.
Parlaci
della tua città durante la tua infanzia.
Verona portava ancora i
segni della guerra. Case sventrate, intonaci segnati dalle mitragliatrici o da
schegge di bomba, calcinacci rotti eccetera. I ponti erano stati distrutti dai
tedeschi in ritirata nella primavera del ’45. Il ponte di Castelvecchio fu
ricostruito nel ‘50, avevo due anni e mezzo e mi ricordo perfettamente
l’inaugurazione. A ponte Pietra, che dovevo attraversare ogni giorno per andare
a scuola dalle Torricelle in centro, si attraversava su una passerella pedonale
di ferro con l’impiantito in legno, costruita
accanto al ponte che non c’era più. Quando di sera, con la nebbia, d’inverno,
si attraversava questa passerella in uno dei luoghi più suggestivi della città,
sembrava di essere letteralmente sospesi nel vuoto, in un mondo irreale. Proprio
su quella passerella, dove nessuno mi vedeva, protetta dalla nebbia, sola e
libera, mi sentì per la prima volta
artista, e cantai, ballai e feci le giravolte, sospesa su una passerella in
mezzo al fiume Adige.
Ponte Pietra distrutto |
Come passavate le vacanze e il tempo libero?
Noi avevamo e abbiamo
ancora un bellissimo rapporto con il territorio circostante Verona. Il lago di
Garda e le montagne della Lessinia erano nostre mete abituali. Andavamo sul
lago, all’epoca pulitissimo, a fare il
bagno e i pic nic in spiaggia, c’erano già un po’ di tedeschi col
maggiolone VW. Ricordo nostro padre che
parcheggiava la sua Topolino e poi la 600
vicino a questi Maggioloni. Magari si condivideva coi tedeschi il pic
nic, scambiando qualche parola. Io ero molto timida, e mio padre, per farmi
vincere la timidezza, dopo avermi messo in mano un fiasco di Valpolicella, mi
diceva: “Vai da quel tedesco e offrigli da bere.”
“Ma come
faccio-dicevo io di rimando- non parlo una parola di tedesco!”
“Ah non ti
preoccupare, basta che tu gli dica aufwiedersehen!”
“E che vuol dire?”
“Vuol dire buongiorno!” mi rispondeva tuo nonno
Ovviamente
vuol dire arrivederci, ma lui me la vendeva per buona, sapeva benissimo che
cosa volesse dire, ma era l’unica parola che sapeva!
Io ero
furiosa con lui, mi ero presentata
dicendo arrivederci, rendendomi ridicola. Il tedesco era strabiliato: aveva di
fronte a sé una bambina di 5 anni, con un fiasco di vino in mano, che gli diceva
arrivederci.
Io tornavo da
mio papà, avevo compiuto l’impresa e lui era fiero di me.
In inverno
andavamo a sciare in Lessinia, ma all’epoca non esistevano praticamente
impianti di risalita e le attrezzature erano pesantissime: salivamo su una
collina tenendo gli sci paralleli, a scaletta, arrivavamo in cima dopo immani
fatiche, ci buttavamo giù e ricominciavamo: uno sci pionieristico che mi ha
lasciato ricordi bellissimi e qualche stiracchiata ai legamenti. Non avevamo
giacche a vento, solo pantaloni alla zuava, una camicia e un maglione svedese
di ottima qualità che compravamo dal commendator Gerosa, grande amico di mio
padre.
Ho avuto una
bellissima infanzia, perché mio padre amava moltissimo la natura e lo stare
all’aperto. Eravamo sempre in giro colla Topolino, su strade impervie e in
posti veramente remoti. Appena vedeva una strada sterrata mio padre diceva:
“vediamo dove porta.” E la imboccava.
Lessinia anni '50 |
Lessinia anni '50, maglione svedese |
Chi
era il commendator Gerosa?
Era l’amico più
importante, diciamo notabile, dei miei genitori e la persona con la quale
passavano le domeniche giocando a carte o facendo gite automobilistiche sul
Lago o in Lessinia. Fu lui che, sentitomi cantare da bimba, diede l’idea a mio
padre di farmi partecipare a piccole manifestazioni canore: “Questa bambina è
speciale e bisogna farla studiare.”
“ Beh, questo
spetta a me!” rispose papà
In realtà non
mi fece studiare canto, studiai musica, come era nella tradizione della
famiglia di mia madre. Non avevamo in casa un pianoforte all’inizio, perché il
vecchio pianoforte di mia madre era stato venduto quando lei era ragazza e
prima di avere i mezzi per comprarne uno ho studiato per anni andando a suonare
altrove.
Tornando al
commendatore, con cui mio padre si dava esclusivamente del lei, pur essendo
grandi amici, avevano in comune una grande passione,
i motori. I due intrattenevano un rapportino basato su frequenti
sfide di velocità.
Noi avevamo
ancora la Topolino, quando lui si comprò il Fiat 1100. Non gli parve vero di
poter fare lo sbruffone con mio padre: “Caro Cinquetti, io adesso non la vedo
più, perché con la mia basta premere e si raggiungono velocità inaudite, fa 130
all’ora!”
La Topolino anteguerra a balestra lunga (color grigio
topo con interni di velluto a coste color banana ,aveva ancora i predellini per
salire e i fari fuori dalla carrozzeria) ,
lanciata in discesa, si spingeva fino ai 98 di tachimetro.
Topolino balestra lunga |
Ma mio padre,
un passato nei reparti motorizzati dell’esercito, era un pilota provetto:
lasciava che il commendatore si sfogasse nei rettilinei, per fregarlo
regolarmente nel misto stretto, con manovre da codice penale. Noi eravamo in
macchina a fare il tifo per lui, eccitatissime e pazze di gioia.
La macchina
era decappottabile, quando il tetto era aperto, io e mia sorella ci mettevamo
in ginocchio sul sedile posteriore, la testa all’indietro e le braccia
appoggiate sulla capote ripiegata, per il gusto di vedere le facce di quelli
che superavamo; il commendator Gerosa veniva regolarmente buggerato alla
seconda curva, in cui mio padre si infilava di traverso. Cose impensabili oggi,
ma c’erano poche macchine in giro all’epoca.
Che città era Verona? Che ricordi hai?
Verona era una città
molto più vera: il centro storico era abitato dal popolo. Poi come in tutte le
grandi città italiane, è avvenuto quel processo per cui il popolo è stato in
qualche modo espulso verso la periferia. La mia adolescenza, le mie scuole medie,
il mio liceo, erano tutto un andirvieni da casa a scuola e da scuola a casa, un
percorso continuo, facevo due tre ore di strada al giorno. La scuola la
mattina, la scuola il pomeriggio, e in più il liceo musicale. Correvo come una
dannata, mentre fendevo la affollata via Mazzini.
Era una città
piena di odori di puzze, di colori scuri, di fuliggine, di carbone, di fumo.
L’idea del restauro non esisteva e nulla era stato toccato: dal Medioevo in
poi, tutto conservava il suo aspetto originario, con le naturali devastazioni
del tempo, tubi rotti, crepe, muschio, colature di umidità, intonaci rotti; ma
anche pezzi di affreschi esterni
meravigliosi che quasi tutte le case di Verona avevano. Questi intonaci
sono andati in gran parte perduti, e negli anni ’60 e ’70 sono cominciati
questi restauri orribili che prevedono si scontorni il pezzetto d’affresco, che
diventa una crostina messa lì e isolata dal resto. Verona si chiamava la città
pitta, adesso è rimasto ben poco. Mi rendo conto che il restauro è necessario,
ma gradirei lavori più discreti, meno invasivi.
Insomma
Verona aveva una autenticità che ha completamente perduto, sia dal punto di
vista delle cose inanimate sia da quello del popolo: a ogni passo, nelle
antiche strade, c’erano negozi ma anche antri, antri da cui uscivano uomini
spaventosi e d’altri tempi, neri di fuliggine, che terrorizzavano noi bambini.
Una città
sporca e maleodorante, ma estremamente viva e affascinante. Io adoravo questi
cattivi odori, odori vitali, alcuni anche buoni! Sentivi l’odore di
carbone, di legna, di cibo cucinato, di
merda, di topi, di farina marcia, l’odore dei negozi di alimentari che avevano
ancora tutta la roba sfusa e la tenevano fuori, in strada, a mò di esposizione.
C’erano tutti questi sacchi di juta pieni di farina di mais di farina di grano,
di polenta, fagioli, di lenticchie, poi c’erano i baccalà appesi. Non esistevano ancora le confezioni e
si aveva un contatto con le cose molto più reale, sensibile e affascinante di
adesso. A me piaceva molto di più come era allora. Tutta la città era scura,
anche perché l’illuminazione era più fioca,
ora è tutto leziosetto e ridipinto, tutto era più morbido, meno
aggressivo. Un particolare che rendeva la città così magica erano le lampadine
al tungsteno, sia nelle case che fuori. Ora sono fuori legge, perché dicono che
inquinino. Io non ci credo!
Verona
è legata alla tua infanzia e adolescenza. Quali sono le città della tua vita?
Verona Milano Roma e
Parigi, più di qualunque altra città all’estero. A Parigi sono andata e vado
non solo per lavoro ma anche per amicizia, perché ho qualcuno che vive là.
Milano era la modernità: negli anni ’60 Milano era accogliente, era il cuore
della musica per via della Galleria del Corso, il luogo dove nasceva
l’industria discografica italiana, a Roma c’era l’Rca, ma a Milano c’erano
tante tante case discografiche, tra cui la mia, la Cgd. Milano era moderna,
aveva l’aeroporto, le autostrade. Le infrastrutture dell’Italia erano tra le
più avanzate all’epoca. Ogni volta che andavo all’estero avevo l’impressione di
andare in paesi arretrati, Francia compresa: Paesi dove c’era ancora un aria da
anni ’30 insomma. Sembravano indietro di 30 anni. Soprattutto la radio e la
televisione, che in Italia erano fantastiche, sia per le strutture, che per la modernità degli studi, delle
attrezzature, che per i contenuti, poiché gli spettacoli che si facevano in
Italia erano i più moderni, Studio 1 aveva un’eleganza formale e una modernità
che negli altri Paesi non esisteva, appena mettevi piede all’estero ti
ritrovavi ancora con le scenografie colle tende (ride) e tutti gli ammennicoli
e arzigogoli del caso, con un gusto arretrato e kitsch. L’Italia era avanti in
modo clamoroso su molte cose in quegli anni.
Dicci qualcosa sul ruolo della vita sentimentale
nella tua esperienza di donna.
La vita sentimentale
per un artista è complicata. Ero un’adolescente famosa, e non è stato facile:
non hai esperienza e non puoi permetterti di farla godendo della protezione
dell’anonimato. C’è una curiosità morbosa nei tuoi confronti, sei esposto: sono
tutti lì che ti guardano, che ti spiano, che vogliono sapere, solo per ragioni
di gossip, quindi o ti fidanzi tanto per
farlo, per sentirti normale e accettata, magari con qualcuno che pensi
possa piacere agli altri, ma che intimamente non sai se ti piace davvero; o non
ti fidanzi per niente! Se sei sola a 16 anni va benissimo, ma se lo sei a 20 o
a 25 passi per una “strana”. All’interno di tutti questi ostacoli, io in ogni
caso, alla fine, ho fatto il mio percorso: per alcuni aspetti ero una persona
precoce, perché ho avuto esperienze formative molto forti fin dalla infanzia:
affrontare il pubblico, avere dei contatti inconsueti, mi riferisco alle mie
visite con esibizione canora a 13 anni nei manicomi piuttosto che nei sanatori
e negli ospedali con la Compagnia spettacolo città di Verona, in cui ero
l’unica non adulta. Una esperienza molto formativa che mi ha preconizzato come
sensibilità anche sociale. Credo di essere diventata di sinistra allora,
visitando un manicomio, di quelli che son stati chiusi con la legge Basaglia,
che ho sostenuto con grande entusiasmo.
Manicomio, Italia, anni '60 |
Dall’altra parte invece, come
esperienze umane e sentimentali ero in ritardo rispetto ai miei coetanei: ero
molto più inibita e restia a concedere confidenza. Ero affezionata alla mia
solitudine: non potevo fidanzarmi col ragazzo della porta accanto o col
compagno di scuola, perché io appartenevo già a un altro mondo più ampio, non è
che mi dessi delle arie, ma era un fatto: avevo delle esperienze che non potevo
condividere con chi non le poteva capire; e quindi ho fatto molta fatica.
Dall’altra parte non mi interessava nemmeno mettere su un flirt o un
fidanzamento con un “famoso” come me, per fare che cosa??? Per fare gossip sui
giornali? Io cercavo qualcosa di autentico. Insomma ho fatto di tutto per
ignorare questa pressione e curiosità nei confronti della mia vita privata. Mi
ha aiutato molto la discrezione, che ha sempre fatto parte del mio carattere.
Quando ci son state delle storie le ho tenute per me e ci sono anche riuscita:
quella che è la mia biografia ufficiale è soltanto apparenza, la mia vita
sentimentale non la conosce nessuno e non la racconterò mai (ride), a parte il
matrimonio che ho dovuto rendere pubblico, ma non è stato facile!
Matrimonio |
Ero talmente
abituata alla segretezza, alla riservatezza, che quando mi son sposata
all’inizio non l’ho detto a nessuno, non ho fatto il ricevimento, e neanche le
fotografie perché era il modo migliore per preservare quel momento solo per me
e mio marito. E’ stata una cerimonia intima e privatissima. Ci fu una festa a
casa con amici e parenti, ma una decina di giorni dopo la cerimonia, quando
uscì la notizia del matrimonio sui giornali. La gente magari pensava, ma quanto
se la tira ‘sta Cinquetti! In realtà avevo talmente introiettato questa
necessità di proteggermi, che dopo sposata avevo difficoltà a dirlo, anche agli
amici! Incontravo le amiche per strada che mi chiedevano: “Cara come
stai?”-“Bene grazie!” – e finiva lì! Come facevo a dire loro che mi ero
sposata?! Io dentro di me pensavo: vabbè glielo dirò la prossima volta! E
tiravo dritto. Poi si sono tutti arrabbiati con me: “Ma come? Non ce l’hai
detto??!! E non c’hai manco invitato! Sei sposata da due mesi e lo veniamo a
sapere da altri!
Dopo, con un
po’ di fatica, mi sono abituata a dire anche… che avevo dei figli! Ma son cose
che non mi son mai venute spontanee, come alla maggior parte della gente, che
quando attraversa un momento importante e felice, tende a dirlo a questo mondo
e a quell’altro.
Avevo anche una
certa timidezza quando vi accompagnavo a scuola, e quando incontravo le altre
mamme, all’asilo. Mi sentivo un poco pesce fuor d’acqua. Tutte queste madri
“scomaravano” chiacchieravano, facevano gruppo. Io ero la Cinquetti, ma avrei
voluto essere una mamma anonima.
Beh
le mamme dei miei compagni tanto anonime non erano, visto che andavo alla
Montessori…
Sì tanto anonime non
erano, visto che era una scuola frequentata da artisti, giornalisti e via
dicendo, però si conoscevano già tra di loro, si frequentavano, perché erano di
Roma, perché facevano vita di quartiere. Io ero una che veniva da Verona. E non
ero né sono molto mondana. Roma è una città dove se ti vuoi inserire devi
andare alle mostre, ai ricevimenti, alle feste…a me delle feste, delle mostre,
non me ne frega niente, a me piace andà (sic) al cinema e poi mi piace stare a
cena con gli amici e chiacchierare. Invitavo sempre e invito molto. Ho sempre
amici a cena ma sono quasi sempre gli stessi, e anche all’epoca non ci si allargava molto, anche perché tutto
veniva interrotto dal lavoro, da una partenza, da un viaggio. E’ curioso, ma io
ho sempre instaurato le amicizie più affettuose con gente che vive in altre
città, e giocoforza, non ci si vede molto, ma quando succede è una festa. Tornando
al ruolo di mamma di fronte alle altre mamme mi metteva un po’ in imbarazzo
perché riguardava la mia intimità. Io sono sempre stata una che appare fredda,
ma in realtà sono le mie emozioni a essere troppo intense e le devo proteggere.
Io detesto l’interpretazione del ruolo: di moglie, di madre. Io sono consapevole
dell’essenza vera delle cose e questa essenza la proteggo il più possibile. Poi
penso che nulla sia scontato, ecco perché rifiuto i ruoli, ecco perché sono
aperta e curiosa.
Ero curiosa di sapere chi fossero i miei figli e li
consideravo appunto non mia proprietà. Credo che questo voi l’abbiate vissuto.
Hai
un hobby?
Ho sempre amato
moltissimo la lettura, questo libro che ho scritto ha preso le mosse da molto lontano, dagli anni della adolescenza,
quando leggevo con grandissima passione.
Letture, anni '60 |
Ho continuato a leggere fino a 30 anni
con grande intensità. Era l’epoca dei miei viaggi. Ero sempre in giro per
lavoro. Quando siete nati ho cambiato radicalmente stile di vita perché la
presenza di due bambini piccoli comportava una responsabilità e un modo di
vivere diverso e quindi ho iniziato lì a fare la conduzione televisiva e giornalismo,
perché questo mi permetteva di lavorare restando a casa. Quando invece ero in
giro per il mondo avevo sempre libri con me. Amo Steinbeck, Faulkner,
Hemingway, i russi, Tolstoj, Cechov, Anais Nin, gli anni ‘30, gli americani a
Parigi, Gertrude Stein, Joyce., Fitzgerald, Elia Kazan, Keller, Malcom Lawry.
Questa passione per la letteratura mi ha fatto fin da allora sognare di far
parte del mondo di coloro che scrivono e non solo di quello di coloro che
leggono. E’ una sorta di appartenenza quella alla letteratura. E per me era
importante perché mi permetteva di sopravvivere alla stanchezza, alla
solitudine e alla noia di questo continuo viaggiare per il mondo,
apparentemente inconcludente . E lo ritrovo adesso invece e capisco che sbagliavo
a ritenerlo inconcludente, perché qualche segno dei miei lavori televisivi in
giro per il mondo è rimasto, su youtube,
ma mentre facevo queste cose, ero convinta che non avrebbero lasciato
traccia, immaginavo non ne lasciassero alcuna e che fosse tutto un po’
così, a perdere. Non per questo non lo
facevo bene, mi piaceva farlo, anche se comportava un interrompere
continuamente i rapporti ed allora lì ho imparato a tessere questi legami
interiori. Avevo piacere a coltivare la mia interiorità, perché non potevo fare
altro, mentre ero in viaggio, che pensare. E quindi pensavo alle persone, ai
miei amici, ed ho imparato ad avere questi legami invisibili con persone con
cui non avevo un legame nella quotidianità.
Altra mia
passione sono le case e i giardini: ne sono stata travolta, perché adesso non
riesco più a finire, non ho energie per finire né le case né i giardini. Da
sola è un lavoro immane di cui non vedo l’ora di liberarmi. Ma non è la stessa cosa se chiami il giardiniere,
vuoi mettere la soddisfazione?
Giardinaggio, anni '70 |
Ho tirato su muri a secco con le mie mani nel
giardino di casa, quindi evidentemente, quella voglia di fare con le mie mani
di cui ho parlato nella prima intervista è rimasta. Ho delle mani molto
inadatte al lavoro manuale, fragili, ma io sono forte, tengo duro e continuo. E
mi piace perché costruire una casa o un giardino, mantenerli, vederli crescere,
è costruire un mondo e a me piace costruire dei mondi; anche scrivendo, ed è
per questo che ho scritto un romanzo.
Molte grazie Giovanetti,
RispondiEliminaHo trovato questa intervista Incredibile,
una conversazione sincera.
Gigliola è una persona incredibile e ammirevole e ha una famiglia coraggiosa!
Sono brasiliano,
Ammiro
la musica e la cultura italiana,
saluti
Paulo Mattos...
Esplendorosa.... gratidão....amada por todo o Planeta...seja bem vindo á uma página do facebook dedicado á Gigliola por fãs do Brasil e Europa ...Gigliola Cinquetti Fans....DEUS abençoa Gigliola e toda Família!
RispondiEliminaHo conosciuto Gigliola Cinquetti nel lontano 1971 allorchè entrambe eravamo ospiti della trasmissione "Stasera si" con il quartetto Cetra. Io cantavo "Una conquista facile" e lei "La bella Gigogin!" Ho avuto un'ottima impressione, è veramente una bella persona.
RispondiEliminaMena 22 de agosto 2018. Parabéns pela linda entrevista. Parabéns para Constantino pelo seu aniversário.beijos.
RispondiEliminaI Love Gigliola so much and I had an oportunity to meet in Brazil last year in the show Una Storia Amore
RispondiEliminaSulmona 07.10.2019. Che. Gesù benedica sempre e protegga con. Sua. Madre la. Vostra. Famiglia meravigliosa. Non esiste al mondo una. Donna così. Bellissima. Domenico. Silla l'infermiere classe 1967.
RispondiEliminaPorto sempre nel cuore le. Sue canzoni meravigliose. Chissà se un giorno verrà al teatro. Maria. Caniglia a. Sulmona. Mi piacerebbe conoscerla, scloccargli un. Bacio ed un abbraccio forte e. Santo e farmi una fotografia insieme a. Lei. So che da parte paterna ha antiche e gloriose origini. Nobili. Come appassionato di araldica e storia, ho gli stemmari originali delle famiglie venete. Domenico. Silla l'infermiere classe 1967.
RispondiEliminaSu YouTube vedo sempre i suoi concerti e filmati d'epoca. Sono canzoni che non tramontano mai. Le dico che sono un. Infermiere laureato già. Prof universitario per due anni, con 25 anni e mezzo di lavoro effettivo, sono nato a. Bologna,ma vivo in. Abruzzo. Sono figlio adottivo di un. Ufficiale della. Marina. Militare italiana classe 1932 e di una. Sarta, pellicciaia ed estetista classe 1932. Amilcare e. Sira,una. Donna bellissima mia madre. Hanno adottato 4 figli già grandi e fatto del bene a 30 ragazzi in difficoltà e tutto di tasca loro,senza chiedere nulla a nessuno. Mio padre ha rinunciato ad 11 anni della sua carriera militare per seguire mamma nel far del bene ai ragazzi. Vivevano ad. Ancona. Papà è di. Roccacasale e mia. Madre è di. Popoli. Tra noi adottati non esiste nessun legame di sangue.
RispondiEliminaQuesta storia italiana la conoscono in pochissimi in. Italia, chissà se la. Mitica. Gigliola. Cinquetti di nobili origini, tra l'altro sono studioso dello. S. M. O. M. Cavalieri di. Malta. Ebbene chissà se con la sua grande esperienza di conduttrice televisiva farà conoscere questa storia di. Amore in. Italia. Deh spero proprio di sì.
RispondiEliminaVi lascio la mia mail ufficiale e non questa del telefono. La mia mail è invanz@tiscali.it. Vi auguro ogni. Bene nella. Fede. Vera. Ogni felicità è soddisfazione nella vita. Un abbraccio forte e. Santo. San. Zeno vegli sempre su di. Voi.
RispondiEliminaHo sempre molto ammirato e apprezzato la Signora Cinquetti. Oggi l'ho vista su Rai 1 col merito, veramente due belle persone, molto interessanti e molto piacevoli da ascoltare.
RispondiElimina