La partenza |
Viaggiatori |
Attendo insieme a Venturini e Costabile lo svolgersi della
prova immunità tra olimpionici modelle e Ciavarros: si parla del più e del
meno. Ma percepisco la mia e la loro ansia, dilatate dall’attesa. Le attese in
questa esperienza ti consumano, letteralmente. Quando aspetti pensi, e forse è
meglio non pensare troppo. Paura di non farcela, paura di essere inadeguati al
cimento, paura di perdere il controllo e di essere finiti in qualcosa di più
grande di te.
Finalmente si riparte
da Bao Loc, lo stomaco in subbuglio per il troppo cibo a cui siamo ormai
disabituati. Quella dello stomaco in subbuglio è la piacevole condizione che mi
accompagnerà fino alla fine, ma dopo 15 gg non ci farò quasi più caso. Ci si
appresta a compiere il rush finale verso Saigon. Partiamo una coppia alla volta
secondo l’ordine d’arrivo al traguardo intermedio. Le modelle partono saettanti
e vengono aggredite da una muta di ferocissimi chihuahua, tra l'ilarità
generale. Subito ci carica un furgoncino pieno di pigolanti anatroccoli stivati
nel bagagliaio. La strada si fa tortuosa e il paesaggio sempre più montagnoso.
Da queste parti guidano da incoscienti ma sei talmente preso dalla gara che non
hai neanche la percezione del pericolo, mentre il tuo mezzo fa i 130 su
stradine larghe 6 metri, ingombre di mucche, galline, carretti e bambini. Di
quel giorno ricordo numerosi passaggi in camion, ma uno particolarissimo: un
vecchio, scassatissimo tir con a bordo due vietnamiti e una chitarra. La
sporcizia e trasandatezza dell’abitacolo sono qualcosa di incredibile per un
occidentale. Il camion puzza, letteralmente. Il bello è che non me ne può
fregar di meno. Come tutti, sei influenzato dall’ambiente che ti circonda e ti
ci adatti rapidamente. Io siedo praticamente sopra il cambio, mio fratello sta
rannicchiato in un bugigattolo, dietro i sedili. A un certo punto uno dei due
amici, un vietnamita con una faccia da indio, prende la chitarra e mio fratello
si mette a cantare “Eppur mi son scordato di te” di Battisti. Il viet lo
accompagna ridendo: momenti belli belli.
E’ l’ora della spesa, e il nostro euro al
giorno ci procaccia un ananas fracico che mangiamo con voluttà, seduti al
tavolino di un esotico baretto ai lati della strada, in compagnia dei due
camionisti.
Magic moments |
Dopo varie peripezie
che vi evito per non annoiarvi troppo arriviamo infine alla periferia di Saigon
e ci viene dato la stop. Dobbiamo trovare un posto per passare la notte. Appena
scesi veniamo travolti dal respiro della metropoli: uno smog terrificante ma
anche tanti banchetti multicolori ai lati della strada che espongono le
mercanzie più varie: polli, maiali, verdure, spezie, statuette col Buddha e
altre con la Vergine Maria. A proposito di Vergine Maria, appena imbocchiamo un
vicolo ci accorgiamo che siamo in una zona a maggioranza cattolica: i tetti e i
balconi straripano letteralmente di crocefissi e statuette a sfondo religioso.
Troviamo subito ospitalità presso una famiglia di barbieri, e mio fratello ne approfitta per farsi un nuovo taglio di capelli: molto classico, non c’è che dire!
La casa che ci ospita
è abitata da due nuclei familiari imparentati tra loro, credo cugini. Prima di
cena ci dicono che si assenteranno per un poco, per andare a messa. A quel
punto ci viene la curiosità di vedere una chiesa vietnamita e i suoi fedeli e
chiediamo di poterci unire a loro. Il capofamiglia ci dice che deve chiedere il
permesso al capo della polizia del distretto, e gentilissimo vi si reca. Ma in
risposta riceve un secco no. Gli stranieri a messa non ci possono andare. Mi
ricordo amaramente di essere in un paese fondamentalmente autoritario e mi
rendo conto che questa gente, in quanto minoranza cattolica, è abbastanza
controllata dal governo centrale.
Troviamo subito ospitalità presso una famiglia di barbieri, e mio fratello ne approfitta per farsi un nuovo taglio di capelli: molto classico, non c’è che dire!
Miss Nguyen all'opera |
Dopo la cena, che
viene filmata dal cameraman, veniamo sempre lasciati soli, e ci godiamo le uniche ore di libertà dall’organizzazione
del programma. Il buon senso suggerirebbe di andare a letto, visto che la
sveglia è sempre tra le 5 e le 6 del mattino e noi siamo ovviamente distrutti,
ma quando ti trovi con gente ospitale, soprattutto dopo due tre birrette, è
difficile dire buonanotte. La cosa bella di questa esperienza, è che al di là del
fatto di partecipare a un format hai la possibilità di relazionarti ai locali
in un modo che qualsiasi normale turista può solo sognare.
C’è enorme curiosità
reciproca. Il fatto che veniamo da Roma, fulcro della loro religione, li
incuriosisce moltissimo. Come tutte le minoranze religiose, sono molto ligi
alla loro dottrina. Vengo tempestato di domande su Ratzinger e Bergoglio,
faccio quel poco che posso per dare risposte convincenti. La carinissima figlia
del padrone Duyen, insieme a sua cugina, ci raccontano del loro sogno
di riuscire un giorno a vedere Roma. Ovviamente gli promettiamo di ospitarle, ma ci dicono che non
possono permettersi il viaggio. Segue momento di tristezza. Ma subito dopo il padrone di casa
erompe in un poderoso rutto, e iniziamo tutti a ridere come pazzi. Andiamo a
letto tre ore prima della sveglia, ma ne è valsa la pena.
La mattina dopo, dopo
lunghi abbracci, siamo nuovamente sulla strada. Questa gente fantastica non
solo ci ha fatto passare una bellissima serata, ma ha anche fatto una colletta
coi vicini per pagarci un taxi. Siamo sì alla periferia di Saigon, ma per
arrivare alla città vera e propria serve ancora mezza giornata di viaggio. Siamo
contenti perché crediamo di essere tra i primissimi, e scopriremo che era
effettivamente così. Dobbiamo andare in cima al punto più alto della città, ma
non sappiamo qual è. Scopriamo presto trattarsi della Bitexco Tower, un grattacielone
di 200 e passa metri. Arrivati là cerchiamo furiosamente una traccia. Io,
irruento come sempre, disfo letteralmente un negozio di souvenir, per la gioia
della commessa. Infine troviamo un tablet con un messaggio in vietnamita che ci
dice di arrivare al mercato di Binh Tay e chiedere di una certa signora.
Abbiamo solo un nome, ma il peggio deve ancora arrivare. Appena sceso in strada
chiedo al primo passante che mi capita a tiro dove si trova questo mercato.
Purtroppo per noi ci capiamo male e lui mi dice “vai tranquillo, un solo
chilometro in quella direzione.”
Duc |
Ci fiondiamo di corsa,
convinti di essere sulla buona strada. In realtà i chilometri sono 10. Per
nostra somma sfortuna a un chilometro c’è un altro mercato, simile in tutto e
per tutto a quello di Bin Tay. Corro come un ossesso tra i banchi cercando
questa signora urlando il suo nome a squarciagola e i vietnamiti che non riesco
a scansare cadono come birilli. Questo gigante di 1.93 deve sembrare un vero
selvaggio a questi piccoli, compostissimi orientali, ma effettivamente così è:
mi sto comportando da barbaro. In più il cameraman è sparito e sappiamo bene
che avendolo seminato verremo penalizzati. Tutta colpa mia! Ho il cuore a
tremila: fermo un occidentale che esce da un albergo e gli chiedo aiuto. E’
un parigino. “Ce ques vous fais Peking Express? Mais je suis un grand fan!”
Potenza del format europeo: il fan parigino sale con noi su un taxi e ci porta
nel posto giusto. Inflessibili, i capoccia della trasmissione mi somministrano
un memorabile cicchetto e ci tengono fermi ai box per la nostra penalità. Sono
sopraffatto dalla tensione.
Finalmente arriviamo
al banco della signora: è una fruttivendola, e ci mostra una valigia. Faccio
per prenderla e lei mi ferma con un ghigno beffardo, mostrandomi un frutto con una polpa gialla all’interno.
E’ lui, il temibilissimo durian.
Prima durian poi valigia! La cosa più orrenda che io abbia mai mangiato in vita mia. La mia camicia marrone chiaro diventa giallo durian. Da quella volta, per svariati mesi, il solo nome di quel frutto mi ha riportato alla mente quell’odore, semplicemente indescrivibile, procurandomi conati di vomito.
Ormai sono andato, completamente fuso. Ci danno questa valigia ma Costantino e io non riusciamo ad aprirla, il durian ci ha confusi. Risolvo alla mia maniera sbrigativa: tempesto la serratura di cazzotti finché non si apre, ma la serratura è andata. Troviamo una polaroid, dei cappellini e la foto di quello che scopriremo essere il palazzo del governo espugnato dai carri Vietkong alla fine della guerra. Dobbiamo andare là, radunare un tot di persone, e fargli indossare questi cappellini a comporre la scritta good bye Vietnam. Mi accollo sulle braccia la valigia aperta a mò di vassoio e partiamo. In capo a indicibili sofferenze, tra tassinari ostili e prodighi abitanti di Saigon che ci pagano il taxi, riusciamo a portar a termine l’ultima missione. E’ finita. E non ce la faccio più. Siamo penultimi. Cornuti e mazziati. Sono arrabbiato. Siamo in ballottaggio con gli amici. Ma ce la facciamo anche stavolta, si va in Cambogia, col rimpianto di non aver potuto conoscere meglio Alessio e Stefano. To be continued
Prima durian poi valigia! La cosa più orrenda che io abbia mai mangiato in vita mia. La mia camicia marrone chiaro diventa giallo durian. Da quella volta, per svariati mesi, il solo nome di quel frutto mi ha riportato alla mente quell’odore, semplicemente indescrivibile, procurandomi conati di vomito.
Meglio, molto meglio gli insetti e i ragni |
Ormai sono andato, completamente fuso. Ci danno questa valigia ma Costantino e io non riusciamo ad aprirla, il durian ci ha confusi. Risolvo alla mia maniera sbrigativa: tempesto la serratura di cazzotti finché non si apre, ma la serratura è andata. Troviamo una polaroid, dei cappellini e la foto di quello che scopriremo essere il palazzo del governo espugnato dai carri Vietkong alla fine della guerra. Dobbiamo andare là, radunare un tot di persone, e fargli indossare questi cappellini a comporre la scritta good bye Vietnam. Mi accollo sulle braccia la valigia aperta a mò di vassoio e partiamo. In capo a indicibili sofferenze, tra tassinari ostili e prodighi abitanti di Saigon che ci pagano il taxi, riusciamo a portar a termine l’ultima missione. E’ finita. E non ce la faccio più. Siamo penultimi. Cornuti e mazziati. Sono arrabbiato. Siamo in ballottaggio con gli amici. Ma ce la facciamo anche stavolta, si va in Cambogia, col rimpianto di non aver potuto conoscere meglio Alessio e Stefano. To be continued
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