Pechino Express visto da me



  
La possibilità di partecipare a Pechino Express, il fantasmagorico adventure game reality show prodotto da Magnolia, è stato un puro caso, un dono inaspettato che ti piove dal cielo quando meno te lo aspetti. Durante l’ultimo inverno mio fratello Costantino ha posato con la nostra illustre madre sulle pagine di un rotocalco ad ampia diffusione. Le foto sono piaciute agli autori del programma,che contattato mio fratello gli hanno fatto balenare l’opportunità di far parte della rosa dei candidati da selezionare per lo show, in compagnia di un altro viaggiatore scelto da lui.
 Dopo un attento vaglio delle possibilità offertagli dalla sua torrenziale vita relazionale, la scelta di Costia è caduta sul sottoscritto, forse perché, nel bene e nel male, sono la persona che conosce meglio.  La prima edizione di Pechino Express andò in onda nell’autunno 2012 e fu un successo. All’epoca mi trovavo a Berlino, e ovviamente non la vidi. Quando Costia mi chiese di partecipare, non avevo visto una sola puntata della trasmissione. Meno male che c’è Youtube.
 Dopo  3 giorni di dubbi atroci dettati dal mio back-ground (ero uno di quelli che dicevano: io partecipare a un reality? Mai!!!), la scelta fatale è compiuta: Sì, assolutamente, solo un pazzo direbbe di no. Del resto cosa ho da perdere? La curiosità per il viaggio, il lato economico della faccenda, assolutamente non trascurabile per un trentenne squattrinato come me, e un po’ del sano realismo pessimista che ti fa pensare “dire sì non costa nulla, tanto alla fine, tra migliaia di candidati, verremo sicuramente scartati”, avevano fatto la loro parte nella scelta positiva.
Doppio selfie per autori

 La mia vita era a un punto di impasse di quelli che o preludono a una svolta, o non preludono a nulla (nella maggior parte dei casi) .
Pubblicato il mio primo saggio di storia avevo passato un periodo di due anni a Berlino, facendo nuove amicizie, imparando il tedesco, lavorando come barista e più saltuariamente giornalista e facendo ricerca storica. Tornato a Roma provvisoriamente per le ricerche sul mio prossimo saggio, dedicato alla interpercezione tra italiani e tedeschi durante il nazi-fascismo,  mi sentivo incompleto e insoddisfatto: “Faccio ricerca storica, passo tanto tempo negli archivi, ma non guadagno abbastanza se non con qualche articolo, vorrei un lavoro vero, che occupi la mia giornata e  non solo una onorevole occupazione”.
 Mio fratello, persona di rara lucidità e sagacia, non ha mai condiviso il mio ragionevole pessimismo: “Giovi non hai capito, guarda che questi ci prendono, al 100%!”
“Sì vabbè, ma dai, ti pare!” facevo io di rimando.
E invece…
E’ una tiepida e assolata mattinata di inizio primavera a Roma, e improvvisamente squilla il telefono: “Ragazzi partite tra 25 giorni! Siete contenti?”
Gioia, ansia, aspettativa. Bisogna prepararsi. Sia mentalmente che fisicamente.
Il gioco consiste in questo: 11 coppie, 10 tappe. Ottomila chilometri in autostop da Hanoi a Bangkok, attraverso il Vietnam, la Cambogia, il Laos e la Thailandia, per un totale di 5 settimane. Alla fine di ogni tappa c’è la possibilità che una tra le ultime due coppie arrivate al traguardo venga eliminata dalla prima arrivata.
 Quando sai di essere in ballo cambia tutto. Ti attacchi a google news sperando di carpire indiscrezioni sui nomi degl’altri concorrenti, ti alleni furiosamente, sai che stai per fare una esperienza forte e non sai bene cosa aspettarti.
  Abbiamo tre settimane di tempo per prepararci mentalmente e fisicamente: ci buttiamo sul nuoto e sulla corsa, tutti i giorni. Costantino, molto sagacemente, ci aggiunge lunghe sessioni di Yoga colle sue amiche Flavia ed Emanuela, detta Mela. Io declino, non molto saggiamente. Ritengo lo Yoga poco confacente al mio animo battagliero: mi sbaglio di grosso. Lo Yoga si rivelerà fondamentale per la tenuta psico fisica di mio fratello.
Passiamo tre belle settimane insieme, gomito a gomito, in piscina e nei parchi romani. Cerchiamo di affiatarci tra noi.
A 15 giorni dalla partenza prevista ci viene comunicato che entreremo in gara alla terza puntata, con una settimana di ritardo rispetto agli altri concorrenti, più o meno come entrare bendati in un campo minato: “Benissimo – penso- ci ameranno tutti alla follia!”
Vivo l’ultima settimana a Roma come se fosse l’ultima della mia vita: mi ingozzo in trattoria e non trascuro una puntata ad Ostia, dove mi faccio un gigantesco, fantozziano piatto di cozze. Manco avessi un cancro alla prostata e tre mesi di vita!
Infine, finalmente, arriva il momento della partenza.
 Aeroporto di Fiumicino, volo thai per Bangkok. 10 ore di aereo tonde tonde. Potevo portarmi un sonnifero accidenti, anche se non ne ho mai preso uno in vita mia.. Aeroporto gigantesco, dutyfree immane, thailandesi belli gentili e sorridenti. E’ il nostro primo contatto con la Thailandia e ci piace molto.  Da Bangkok prendiamo un aereo per Hanoi, altre due ore. 

Già rinco

  Atterriamo in Vietnam ed è tutta un’altra musica. Atmosfera old style da paese comunista, scarni negozi che espongono paccottiglia inverosimile, dalle matrioske russe ai cappelli cinesi da contadino, quelli a punta. Controllo passaporti: poliziotti in uniforme stile armata rossa, arcigni e scorbutici. L’agente apre il mio passaporto vecchio di 8 anni e ha da ridire sul suo stato di conservazione, dopo avermi sfaldato irrimediabilmente la copertina del documento con le sue stesse mani.  Alla fine, contrariato, mi fa passare. Dopo 7 ore di attesa, in questo luogo surreale, assolutamente inedito per noi,  saliamo su un ATR 72, quell’aereo piccolo con le eliche, che ci porta a Pleiku, località nel Vietnam centrale dove passava la linea del fronte. Arriviamo verso l’ora di cena in questo piccolo aeroporto della provincia vietnamita.
Usciamo: una fila di palme rigogliose ripara la facciata dell’aeroporto con la scritta CẢNG HÀNG KHÔNG PLEIKU. Non so perché ma penso alla guerra.
Guerra e palme
 Sono le 7, ma siamo completamente cotti dal fuso e dalla fatica del viaggio. E non è ancora cominciata. Aspettativa, ansia, la consapevolezza di stare per intraprendere qualcosa di particolare sono le sensazioni che provo. Momenti che diventano fotografie nella mia anima.
 Ci caricano su un furgone e si parte. Sono stanchissimo, ma anche molto eccitato e incuriosito dalle cose inedite che mi sfilano davanti agl’occhi: è la mia prima volta in estremo oriente, e di vietnamita conosco solo il mio ristorante preferito a Berlino e la triade Full Metal Jacket, Apocalypse Now e Platoon .
 Fa buio, il furgone sobbalza su una strada di campagna, dobbiamo fare una cinquantina di chilometri fino a Kontum, dove passeremo la notte. Palme e banani ovunque, case modeste e dignitose con la porta rigorosamente aperta che lascia intravedere il fluire della vita all’interno di esse: una famiglia intera abbandonata su un grande sofà in soggiorno guarda placidamente la televisione, due motorini sono parcheggiati accanto al divano. Uomini e donne chiacchierano e fumano ai bordi della strada provinciale, non lo fanno in piedi, ma rigorosamente accucciati. Curioso. Tutto è nuovo per me.
 Questa strada provinciale ha sicuramente visto giorni migliori, il serpente di asfalto si alza e si abbassa in una ininterrotta successione di dossi e avvallamenti. In fondo a uno di esso giace una motoretta con il suo ammaccato conducente, le auto semplicemente li scansano. Lui nemmeno sembra troppo preoccupato di essere caduto malamente e di aver danneggiato il suo prezioso scooter.
 Arriviamo infine a Kontum dopo due interminabili ore, le ultime del nostro trasferimento da Roma. Sono 28 ore che siamo partiti da casa.
 Ci tengono ovviamente separati dagl’altri concorrenti, il nostro ingresso nel gioco deve rimanere una sorpresa.
 Ci comunicano che entreremo in gara all’indomani, senza neanche avere un giorno per riprenderci dal viaggio. Ma ci sentiamo pronti. Sta iniziano la nostra avventura in Vietnam.


Good morning Vietnam

Sono le 7 del mattino e siamo in albergo, tra pochissimo ci leveranno tutto. Soldi, smartphone, orologio. Stiamo per entrare in una nuova dimensione: inquietante e del tutto nuova. Esco per strada a godermi gli ultimi attimi da persona “normale”. Davanti al nostro modesto alloggio vi è una scuola elementare, una bandiera con falce e martello sventola sull’edificio, file di bambini fanno ordinatamente il loro ingresso nel cortile, ai lati del cancello venditori ambulanti espongono la mercanzia sui loro banchetti. L’obiettivo del mio iphone inquadra freneticamente facce, cose, dettagli. Sono le prime e ultime foto che farò in un mese.

Scuola viet
 
 Un addetta della produzione ci spoglia dei nostri averi: smartphones, tablet, orologi, portafogli. Speriamo di rivederli il più tardi possibile. Ci danno un grosso zaino blu a testa: cerchiamo di metterci lo stretto necessario, ma alla fine è un macigno. Dobbiamo ancora uscire dalla nostra zona di comfort...(cit.Costantino Teodori)
 Ci caricano su un furgone, lasciamo Kontum e entriamo in campagna, campi, piste di terra rossa immerse nella vegetazione, povere abitazioni di contadini col tetto ondulato. Facciamo una sosta: famiglie di gente giovanissima, padri e madri di 19 20 anni, ci guardano incuriositi, scambiamo qualche chiacchiera. La comunicazione è difficile, ma l’arte italiana del gesticolare ci aiuta molto.
Primi contatti

 Arriviamo a un bellissimo villaggio di palafitte nella giungla. Le case sono di legno, le palafitte le innalzano a 4 metri d’altezza. Il villaggio è abbastanza antico, e credo sia tenuto in perfette condizioni in quanto luogo turistico. Mi spiegano che le case sono rialzate per difendersi dalle tigri. Ma di tigri ormai, credo ne siano rimaste ben poche. Forse dovrebbero vivere loro sulle palafitte, per difendersi dai vietnamiti!
 Il villaggio poggia su una duna di sabbia che si affaccia sull’ansa di un grande fiume scuro. L’ansa crea una grande spiaggia di sabbia bianca. A fare da quinta teatrale, una collina ricoperta da una giungla impenetrabile. Piroghe scavate in tronchi d’albero sono adagiate sulla riva. Un posto splendido. Ma c’è un elemento dissonante: una selva di telecamere e 16 persone disposte in cerchio con uno zaino adagiato di fronte a ciascuno di loro ci ricordano che non siamo qua in vacanza. E’ il nostro debutto a Pechino Express.
Sembro un boyscout super equipaggiato: ho 6 moschettoni attaccati alla cintura, il mio zaino è pieno di roba “fondamentale per l’avventura” che si rivelerà perfettamente inutile. Ora che ci ripenso, assomiglio al personaggio di Alberto Sordi di “Riusciranno i nostri eroi..”  al suo arrivo in terra africana.
Riusciranno???
  I moschettoni saranno la prima cosa a sparire…
 Tre giorni dopo, è già tempo di bilanci. Odio la quantità abnorme di roba che ci siamo portati appresso. Abbiamo speso 400 euro in due di medicine anti malaria anti serpenti anti tutto. Tutta roba che non ci servirà a niente.
Tempo di bilanci si diceva: la prima tappa è finita, siamo arrivati ultimi ma ci siamo salvati.. ci faremo l’abitudine. Fare autostop in questi paesi è una esperienza bellissima. Scoprire posti inconsueti senza il filtro di un minimo di preparazione ti porta ad avere interazioni assolutamente non mediate. Riscopri una capacità di sorprenderti che avevi da bambino. Ho ricordi bellissimi di quei giorni: la prima famiglia vietnamita che ci ha ospitato, un nucleo familiare di ebanisti colla casa sul retro della loro bottega, affacciata su una strada provinciale in mezzo alla giungla. Una doccia in cortile senza acqua corrente, la famigerata doccia monsonica: in quei giorni infatti, puntuale come un treno svizzero, un ora prima del tramonto arrivava l’acquazzone; pioveva con una intensità tale che era effettivamente possibile farsi una doccia stupenda, uno shampoo on the road. Il primo passaggio preso in assoluto, con un ritardo mostruoso rispetto agl’altri, del quale non ricordo nulla, ma di cui ricordo benissimo la tensione e la frustrazione nello scoprire che gl’altri, con una settimana in più d’esperienza, erano molto più veloci e bravi di noi nell’irretire gli automobilisti. Due cugini vietnamiti incontrati su un pullman, con dei tratti particolari: uno nero e uno bianco, nipoti della stessa donna che è stata prima con un soldato Usa di colore, e poi con un bianco. Sono due bei ragazzi, e sono molto amici. Il “bianco” ci racconta del suo tentativo di andare a vivere negli Usa da alcuni parenti. “Ma là il mondo va troppo veloce per i miei gusti, non sono riuscito a integrarmi e a trovare un buon lavoro, e sono tornato nel mio vero paese, il Vietnam”.
 La sorpresa di trovare controllori che ti fanno salire gratis sui loro mezzi, certo c’è una telecamera con noi, ma è comunque una sensazione speciale. Questo è davvero un altro modo di conoscere i paesi: un normale turista visita i monumenti, va al ristorante, fa shopping nei negozi locali. Noi passiamo nove ore al giorno sull’asfalto, sotto il sole del tropico o sotto il diluvio monsonico. E’ un’esperienza diversa: un abbraccio al mondo. Viviamo con la gente, sulla strada. Conosciamo il Vietnam attraverso i suoi abitanti.
  Non sono ancora stato avviluppato completamente dal climax competitivo di Pechino, non sono ancora del tutto sfatto, sono ancora un essere civilizzato, non conosco ancora bene gl’altri concorrenti, non ho idea di quello che succederà. Mi godo la novità, la compagnia di mio fratello, i paesaggi così diversi dai nostri, la simpatia dei locali nei nostri confronti.
 Già, le altre coppie di concorrenti, non si può dire che in questi giorni muoiano di simpatia per noi, ma c’è da capirli, siamo arrivati a sorpresa, belli freschi, mentre loro erano là da una settimana a dibattersi tra mille difficoltà. Ci sono gli sportivi, Il nuotatore Massimiliano Rosolino e la campionessa di windsurf Alessandra Sensini, fisici e menti insensibili allo stress e alla fatica, la tuttora bellissima attrice di origine francese Corinne Clery, una vera leonessa, e il suo baldo fidanzato italiano Angelo Costabile, un passato da calciatore e un futuro d’attore; l’attore Massimo Ciavarro e il figlio Paolo, così simili così diversi, un po’ come io e Costantino; La Marchesa del Secco D’Aragona, aristocratica romana di “antichissimo lignaggio” e il prodigo maggiordomo Gregory, Il gigantesco campione di mixed martial arts Alessio Sakara, una celebrità negli States, col suo amico di infanzia Stefano Venturini, La modella e attrice cubana Ariadna Romero affiancata dalla collega ex gieffina Francesca Fioretti, belle, spregiudicate e coraggiose, i “laureati”, Laura Caratelli, praticante commercialista di Latina e Daniel Mendoza, urologo andaluso con un presente a Roma e un futuro da globetrotter.
 Tutti caratteri forti, tutte coppie profondamente diverse. L’impatto non è semplice, entrare una settimana dopo è esattamente come mi aspettavo, una passeggiata bendati in un campo minato. Questa è gente che non ci ha mai visto, non ci conosce, e sta insieme da 10 giorni. Percepiamo subito diffidenza nei nostri confronti, quella diffidenza che basta un nonnulla per tramutare in aperta ostilità. Siamo sulla difensiva.
 Un meccanismo divertente e un po’ perverso della singola tappa che dura tre giorni, è quello del traguardo intermedio dopo un giorno e mezzo, una sorta di gran premio della montagna come nelle corse ciclistiche: la temutissima prova immunità. Le prime due o tre coppie ad arrivare al traguardo si sfidano in una gara d’abilità fisica e mentale, la coppia vincente salta la seconda metà della tappa, riceve un premio (notte in hotel di gran lusso, gita turistica et similia)  e passa direttamente alla tappa successiva, senza correre il rischio di venire eliminata; ma soprattutto, ha il compito di affibbiare una penalità a una delle coppie rimaste: Questa penalità consiste nel dare alla coppia desiderata un oggetto, animale o persona che ne freni la corsa. Ovviamente le penalità iniziali toccavano tutte a noi, ma tutto sommato hanno giunto sale alla sfida.
 Come prima penalità gli amici Sakara e Venturini ci affibiano la sposa cadavere: Pham Duyen, una dolcissima 21enne di Dalat, vestita da sposa. Dobbiamo portarla dal marito che l’aspetta al parco di Da Lat, il luogo più kitsch e romantico dell’Indocina. La ragazza si rivelà inizialmente un vantaggio, parla vietnamita e ci facilita di molto il contatto con i driver. Ma Pham è minata da un male oscuro: un tremendo virus intestinale la aggredisce improvvisamente.
Sposa cadavere
  La situazione si fa seria: la sposa, appunto cadavere, ci rallenta mostruosamente. Ogni 30 min, scende dal mezzo, si nasconde dignitosa dietro un mango e inizia a vomitare copiosamente. Arriviamo trafelati a Da Lat, dove ci aspetta l’ultima beffa. Dall’interno di un  ristorante ci arriva una melodia soave. E’ una canzone di nostra madre, la cantante Gigliola Cinquetti (infatti, con nostra somma gioia e con conseguente picco di popolarità, siamo chiamati “figli di”, ma ci sta).  La melodia di un famoso pezzo di nostra madre che esce da un ristorante in una città del Vietnam centrale, quantomeno inconsueto. Pensando a un trick autoriale mi fiondo nel ristorante perdendo tempo prezioso. Si tratta ahimè, di una incredibile coincidenza. Arriviamo stremati e in un ultima posizione, ma la busta nera ci salva, la tappa non è eliminatoria.
 Bilancio: siamo indietro e abbiamo poca esperienza, ma vogliamo dimostrare a noi e agl’altri di potercela fare. Ma c’è poco tempo per bilanci pensieri e altro. Il giorno dopo inizia subito la nostra 2°  tappa, bisogna arrivare fino a Saigon e possibilmente riuscire a qualificarsi per la Cambogia, il prossimo paese attraversato da Pechino Express. to be continued

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