Pechino Express visto da me: Da Dalat a Saigon via Bao Loc

La partenza
Siamo nel centro sud del Vietnam. Cambia il paesaggio, cambiano le facce della gente. A nord sembrano cinesi, pelle chiara, occhi decisamente a mandorla. Nel sud sembrano mischiati con altre popolazioni, la pelle è più scura, gli occhi un po’ più rotondi, i volti più interessanti e variegati, come in tutte le aree dove le popolazioni si mischiano. Partiamo in camioncino coi laureati verso il traguardo della prova immunità. Siamo all’inizio del monsone e su di noi, puntuale come la nuvola del ragionier Fantozzi, si scatena un inferno d’acqua. Io e Daniel proviamo ad aprire il teloncino della nostra camionetta per ripararci dalla pioggia. Non ci riusciamo, i nodi sono doppi, bagnati e troppo stretti. Prendo il mio coltello Opinel e li taglio di netto. Ora siamo al riparo. Mi rendo conto che non è stato un bel gesto e che il proprietario non sarà contento del mio lavoro. Ma siamo in ballo e io sto cambiando: adesso conta solo l’immediato, il qui ed ora, al diavolo le buone maniere, l’importante e ripararsi dal monsone. Andiamo avanti: sono semplicemente sbalordito dalle acrobazie dei vietnamiti in motorino in un mare d’acqua: aggiorno il mio concetto di spericolatezza. Laura ha una colica e si sente poco bene, ci tocca proseguire da soli.

Viaggiatori
 Il paesaggio cambia, siamo sui primi contrafforti della catena annamitica. C’è molto verde, attraversiamo piccoli villaggi. Tantissima gente ovunque. Questo è un paese giovane, popoloso, in piena crescita economica. A un certo punto la benzina finisce e veniamo caricati da una coppia giovane, marito e moglie, a bordo di un suv Toyota. Lui non dice una parola, lei manco: ma ci danno qualcosa da mettere sotto i denti: abbiamo certamente un aspetto pietoso. Finalmente, dopo lunghe, interminabili ore, smette di piovere. Arriviamo al traguardo intermedio di Bao Loc e da qui al Dambri National Park dove è in programma una prova immunità per la mattina successiva. La notte dormiamo con gli altri in un resort dove, tra una coscia di pollo, un gambero alla griglia (la fame è tale che mischiamo tutto) e numerose birre, ci tocca assistere a una veemente sfida dialettica tra Corinne Clery, il fidanzato Angelo e le modelle. Ho l’impressione sempre più netta di essere finito in una gabbia di matti. Si va a dormire, è il primo letto che vediamo in una settimana. Passo una notte da sogno ma il risveglio è di m.: entra Costantino della Gherardesca che urlando simpaticamente in un megafono ci scaraventa giù dal letto.  
Attendo insieme a Venturini e Costabile lo svolgersi della prova immunità tra olimpionici modelle e Ciavarros: si parla del più e del meno. Ma percepisco la mia e la loro ansia, dilatate dall’attesa. Le attese in questa esperienza ti consumano, letteralmente. Quando aspetti pensi, e forse è meglio non pensare troppo. Paura di non farcela, paura di essere inadeguati al cimento, paura di perdere il controllo e di essere finiti in qualcosa di più grande di te.
 Finalmente si riparte da Bao Loc, lo stomaco in subbuglio per il troppo cibo a cui siamo ormai disabituati. Quella dello stomaco in subbuglio è la piacevole condizione che mi accompagnerà fino alla fine, ma dopo 15 gg non ci farò quasi più caso. Ci si appresta a compiere il rush finale verso Saigon. Partiamo una coppia alla volta secondo l’ordine d’arrivo al traguardo intermedio. Le modelle partono saettanti e vengono aggredite da una muta di ferocissimi chihuahua, tra l'ilarità generale. Subito ci carica un furgoncino pieno di pigolanti anatroccoli stivati nel bagagliaio. La strada si fa tortuosa e il paesaggio sempre più montagnoso. Da queste parti guidano da incoscienti ma sei talmente preso dalla gara che non hai neanche la percezione del pericolo, mentre il tuo mezzo fa i 130 su stradine larghe 6 metri, ingombre di mucche, galline, carretti e bambini. Di quel giorno ricordo numerosi passaggi in camion, ma uno particolarissimo: un vecchio, scassatissimo tir con a bordo due vietnamiti e una chitarra. La sporcizia e trasandatezza dell’abitacolo sono qualcosa di incredibile per un occidentale. Il camion puzza, letteralmente. Il bello è che non me ne può fregar di meno. Come tutti, sei influenzato dall’ambiente che ti circonda e ti ci adatti rapidamente. Io siedo praticamente sopra il cambio, mio fratello sta rannicchiato in un bugigattolo, dietro i sedili. A un certo punto uno dei due amici, un vietnamita con una faccia da indio, prende la chitarra e mio fratello si mette a cantare “Eppur mi son scordato di te” di Battisti. Il viet lo accompagna ridendo: momenti belli belli.
Magic moments
 E’ l’ora della spesa, e il nostro euro al giorno ci procaccia un ananas fracico che mangiamo con voluttà, seduti al tavolino di un esotico baretto ai lati della strada, in compagnia dei due camionisti.
 Dopo varie peripezie che vi evito per non annoiarvi troppo arriviamo infine alla periferia di Saigon e ci viene dato la stop. Dobbiamo trovare un posto per passare la notte. Appena scesi veniamo travolti dal respiro della metropoli: uno smog terrificante ma anche tanti banchetti multicolori ai lati della strada che espongono le mercanzie più varie: polli, maiali, verdure, spezie, statuette col Buddha e altre con la Vergine Maria. A proposito di Vergine Maria, appena imbocchiamo un vicolo ci accorgiamo che siamo in una zona a maggioranza cattolica: i tetti e i balconi straripano letteralmente di crocefissi e statuette a sfondo religioso.
  Troviamo subito ospitalità presso una famiglia di barbieri, e mio fratello ne approfitta per farsi un nuovo taglio di capelli: molto classico, non c’è che dire!

Miss Nguyen all'opera
  La casa che ci ospita è abitata da due nuclei familiari imparentati tra loro, credo cugini. Prima di cena ci dicono che si assenteranno per un poco, per andare a messa. A quel punto ci viene la curiosità di vedere una chiesa vietnamita e i suoi fedeli e chiediamo di poterci unire a loro. Il capofamiglia ci dice che deve chiedere il permesso al capo della polizia del distretto, e gentilissimo vi si reca. Ma in risposta riceve un secco no. Gli stranieri a messa non ci possono andare. Mi ricordo amaramente di essere in un paese fondamentalmente autoritario e mi rendo conto che questa gente, in quanto minoranza cattolica, è abbastanza controllata dal governo centrale.
 Dopo la cena, che viene filmata dal cameraman, veniamo sempre lasciati soli, e ci godiamo  le uniche ore di libertà dall’organizzazione del programma. Il buon senso suggerirebbe di andare a letto, visto che la sveglia è sempre tra le 5 e le 6 del mattino e noi siamo ovviamente distrutti, ma quando ti trovi con gente ospitale, soprattutto dopo due tre birrette, è difficile dire buonanotte. La cosa bella di questa esperienza, è che al di là del fatto di partecipare a un format hai la possibilità di relazionarti ai locali in un modo che qualsiasi normale turista può solo sognare.
 C’è enorme curiosità reciproca. Il fatto che veniamo da Roma, fulcro della loro religione, li incuriosisce moltissimo. Come tutte le minoranze religiose, sono molto ligi alla loro dottrina. Vengo tempestato di domande su Ratzinger e Bergoglio, faccio quel poco che posso per dare risposte convincenti. La carinissima figlia del padrone Duyen, insieme a sua cugina, ci raccontano del loro sogno di riuscire un giorno a vedere Roma. Ovviamente gli promettiamo di ospitarle, ma ci dicono che non possono permettersi il viaggio. Segue momento di tristezza.  Ma subito dopo il padrone di casa erompe in un poderoso rutto, e iniziamo tutti a ridere come pazzi. Andiamo a letto tre ore prima della sveglia, ma ne è valsa la pena. 
Duc
  La mattina dopo, dopo lunghi abbracci, siamo nuovamente sulla strada. Questa gente fantastica non solo ci ha fatto passare una bellissima serata, ma ha anche fatto una colletta coi vicini per pagarci un taxi. Siamo sì alla periferia di Saigon, ma per arrivare alla città vera e propria serve ancora mezza giornata di viaggio. Siamo contenti perché crediamo di essere tra i primissimi, e scopriremo che era effettivamente così. Dobbiamo andare in cima al punto più alto della città, ma non sappiamo qual è. Scopriamo presto trattarsi della Bitexco Tower, un grattacielone di 200 e passa metri. Arrivati là cerchiamo furiosamente una traccia. Io, irruento come sempre, disfo letteralmente un negozio di souvenir, per la gioia della commessa. Infine troviamo un tablet con un messaggio in vietnamita che ci dice di arrivare al mercato di Binh Tay e chiedere di una certa signora. Abbiamo solo un nome, ma il peggio deve ancora arrivare. Appena sceso in strada chiedo al primo passante che mi capita a tiro dove si trova questo mercato. Purtroppo per noi ci capiamo male e lui mi dice “vai tranquillo, un solo chilometro in quella direzione.”
 Ci fiondiamo di corsa, convinti di essere sulla buona strada. In realtà i chilometri sono 10. Per nostra somma sfortuna a un chilometro c’è un altro mercato, simile in tutto e per tutto a quello di Bin Tay. Corro come un ossesso tra i banchi cercando questa signora urlando il suo nome a squarciagola e i vietnamiti che non riesco a scansare cadono come birilli. Questo gigante di 1.93 deve sembrare un vero selvaggio a questi piccoli, compostissimi orientali, ma effettivamente così è: mi sto comportando da barbaro. In più il cameraman è sparito e sappiamo bene che avendolo seminato verremo penalizzati. Tutta colpa mia! Ho il cuore a tremila: fermo un occidentale che esce da un albergo e gli chiedo aiuto. E’ un parigino. “Ce ques vous fais Peking Express? Mais je suis un grand fan!”
 Potenza del format europeo: il fan parigino sale con noi su un taxi e ci porta nel posto giusto. Inflessibili, i capoccia della trasmissione mi somministrano un memorabile cicchetto e ci tengono fermi ai box per la nostra penalità. Sono sopraffatto dalla tensione.
 Finalmente arriviamo al banco della signora: è una fruttivendola, e ci mostra una valigia. Faccio per prenderla e lei mi ferma con un ghigno beffardo, mostrandomi  un frutto con una polpa gialla all’interno. E’ lui, il temibilissimo durian. 

 Prima durian poi valigia!  La cosa più orrenda che io abbia mai mangiato in vita mia. La mia camicia marrone chiaro diventa giallo durian. Da quella volta, per svariati mesi, il solo nome di quel frutto mi ha riportato alla mente quell’odore, semplicemente indescrivibile, procurandomi conati di vomito.
Meglio, molto meglio gli insetti e i ragni

 Ormai sono andato, completamente fuso. Ci danno questa valigia ma Costantino e io non riusciamo ad aprirla, il durian ci ha confusi. Risolvo alla mia maniera sbrigativa: tempesto la serratura di cazzotti finché non si apre, ma la serratura è andata. Troviamo una polaroid, dei cappellini e la foto di quello che scopriremo essere il palazzo del governo espugnato dai carri Vietkong alla fine della guerra. Dobbiamo andare là, radunare un tot di persone, e fargli indossare questi cappellini a comporre la scritta good bye Vietnam. Mi accollo sulle braccia la valigia aperta a mò di vassoio e partiamo. In capo a indicibili sofferenze, tra tassinari ostili e  prodighi abitanti di Saigon che ci pagano il taxi, riusciamo a portar a termine l’ultima missione. E’ finita. E non ce la faccio più. Siamo penultimi. Cornuti e mazziati. Sono arrabbiato. Siamo in ballottaggio con gli amici. Ma ce la facciamo anche stavolta, si va in Cambogia, col rimpianto di non aver potuto conoscere meglio Alessio e Stefano. To be continued

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